A volte mi accade una cosa singolare.
La prima volta che incontro cose o persone che mi “cambieranno” la vita, riescano a passarmi inosservate.
Le virgolette sono d’obbligo, perché, il campo del cambiamento è quello che attiene alla percezione artistica.
Ma nel caso dei Tuxedomoon, questa percezione ha avuto per me un enorme riflesso sul metodo con il quale avrei poi successivamente giudicato avvenimenti e persone, anche in ambito extra-musicale.
E’ un lungo discorso, spero che alla fine di queste mie impressioni, sarò riuscito a spiegarmi almeno parzialmente.
Dicevo del passare inosservati.
Certo, esiste l’amore a prima vista, la passione immediata, ma questi sono avvenimenti che lasciano poco spazio all’analisi razionale.
Li provi, ti sommergono e resti fermo, bloccato.
Vorrei subito sgomberare il campo da un’altra considerazione di tipo generale.
Io vorrei parlare solo di musica, ma sarò più volte tentato di addentrarmi in altri campi.
Lo so già.
Dirò un’ovvietà (ma voglio correre lo stesso il rischio) sostenendo che considero l’arte come il massimo tentativo umano di dare un senso “alto/altro” all’esistenza.
Nello stesso tempo, non posso ignorare il fatto che noi tutti siamo diventati “consumatori” d’arte e di musica in particolare.
Penso che la cosa “di per sé” non sia né un bene né un male.
Penso comunque che la massa di informazioni relative all’arte che riceviamo (e nel caso della musica, la cosa e’ ancora più evidente), ci renda poco capaci di critica di fronte all’intero fenomeno (non fosse solo che per la quantità di quest’ultima).
Le cose che scrivo sono ovviamente filtrate dall’esperienza personale e dai ricordi dell’epoca: vogliono essere solo una onesta testimonianza di come ho elaborato quel periodo.
“Holy Wars” lo comperai circa nell’85 e rimase per più di un anno sullo scaffale.
Un ascolto o due e poi via, tra i dischi giudicati “acquisti sbagliati”, o quasi.
Per me di solito, è un buon segno.
Vuol dire che probabilmente tornerò a riascoltarlo quando certe condizioni saranno mature.
E’ una specie di sesto senso che mi fa capire che ho qualcosa davanti che ha un valore intrinseco, ma di cui, in quel momento, non so cogliere l’essenza.
La prima cosa che mi saltò all’orecchio fu l’uso di più lingue nei loro testi.
Noi europei parlavamo (e si continua) a parlare dell’Europa come di una nuova identità (politica, sociale, culturale…) in fase di costruzione e loro, i Tuxedomoon (americani) a usare tutte le “nostre” lingue mischiate, ancora prima che il Muro cadesse…
Casualità ?
Canta Brown: “ I was cruising my decay where the trams connect”.
Intuizione magnifica: di quale decadenza sta parlando?
E in quale particolare zona?
Perchè proprio dove “all the trams connect”?
L’esistenza quotidiana di Brown coincide con quella del vecchio continente e/o viceversa?
Oppure, anche ammettendo una più ovvia lettura che quella sia la semplice descrizione di un incontro a sfondo sessuale, non e’ sorprendente questa coincidenza tra le due precarietà: quella vissuta dall’autore e quella del nostro Continente?
Io penso che Brown e Compagni assolutamente non sapessero con quale precisione stavano intuendo il cambiamento, ma è proprio questa sensibilità dell’artista che propone qualcosa che “ancora non esiste”, che lui stesso non “sa”, ma già lui vive sotto forma di intuizione artistica.
E poi la loro Musica…a volte assolutamente “bianca” …altre volte così “araba” da far vergognare ogni altro postumo tentativo di “world-music”…
Un particolare di cui non vorrei parlare e’ di come, molto spesso, il nome dei Tuxedomoon sia stato associato all’inflazionato termine di “contaminazione” (anche se alla fine dei ’70 la cosa era un po’ meno evidente…).
Contaminazione tra generi e forme espressive (teatro, video, balletto, poesia, ecc.). Ognuna di queste forme artistiche ha visto, in qualche modo, i Tuxedomoon protagonisti.
Al di là dei risultati (ascoltate e giudicate), mi piace solo scoprire come, a distanza di tempo, tutti quei tentativi appaiano come episodi di un modo preciso di affrontare la vita dell’artista: una vera e propria “filosofia”.
Probabilmente Blaine L. Reininger non ha mai amato visceralmente le performance teatrali messe in scena dalla coppia Winston Tong/Bruce Geduldig e forse Peter Principle non avrebbe mai lasciato la suggestione della sua New York per scoprire i musicisti indigeni del Messico, come invece ha fatto Steven Brown.
Questa “filosofia” alla quale mi riferisco e’ la più semplice del mondo, ma molto rara da trovare nella realtà di tutti i giorni: la profonda onesta’ intellettuale che ti fa vivere assieme agli altri (artisti e non) scoprendo di volta in volta, obiettivi comuni sui quali lavorare e impegnarsi.
Non parlare, ma fare.
Tuxedomoon credono in tutto questo (i loro ultimi show scarni e essenziali lo confermano, ribaltando di 180 gradi i ricordi dei loro fans ancora legati agli anni ‘80: nessun video, nessuno schermo, tantomeno balletti o simili…).
La loro voglia di rimettersi continuamente in discussione, come artisti e come uomini, continua ad accompagnarli nel loro viaggio sonoro e non (qualcuno puo’ dire con sicurezza dove vive Steven Brown o Blaine Reininger?)
Penso possano insegnarci qualcosa.
Ascoltarli e’ il minimo.
Tuxedomoon “Holy Wars”
Cramboy, 1985
di Fabrizio Cavallaro
uno dei gruppi che ho amato e amo di più,fra i più importanti..conideo half mute un vero capolavoro..li ho visti 3 anni fa,qua a forli..bllissimo concerto.hai ragione,scarni,essenziali..con ancora tanto da dire...
"Io vorrei parlare solo di musica, ma sarò più volte tentato di addentrarmi in altri campi." Inevitabile. :)
Condividiamo la passione per i Tuxedomoon. Anch'io li vidi, ma parecchi anni fa (mi pare 1982/83). Dettero anche un intervista alla radio in cui trasmettevo
bè li hai visti in un granbrl momento,eh..comunque sia hanno mantenuto una dignità un rigore che in pochi possomo vantare...e sonon andati sempre avanti.altra cosa,questa,che non si può dire di tanti,troppi...
Uno dei miei gruppi preferiti di sempre.
Ho voglia di condividere due momenti:
1) a casa di Francesco gli ascolto per la prima volta: è l'EP A Scream With A View appena comprato da lui, il brano Family Man mi si incolla in testa;
2) mia Madre ci ha sempre parlato dei suoi musicisti preferiti, fra cui Luigi Tenco e della sua vicenda; compro all'uscita Brown Plays Tenco delle IDL - Industrie Discografiche Lacerba di Paolo Cesaretti; mio fratello, mia sorella, io e mia Madre che ascoltiamo le versioni di Steven Brown delle canzoni di Luigi Tenco: belle, intense e strane con la sua pronuncia americana...