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Black Dub
Ogni tanto qualche pesce pregiato scappa dalla rete. Mi è capitato con Black Dub, gruppo messo su da Daniel Lanois, famoso più come produttore (ultima collaborazione Le Noise con Neil Young) che come musicista. Black Dub è anche l'album omonimo, uscito alla fine del 2010, registrato in presa diretta nel salone della villa/studio di Lanois, posizionando i microfoni in modo da registrare gli strumenti tutti insieme in un'unica session; il tutto documentato da una serie di video. Al basso Daryl Johnson; alla batteria Brian Blade, e al canto l'autentica sorpresa costituita dalla giovane Trixie Whitley, figlia d'arte dalla voce calda.
Gruppo dal nome programmatico: black music con un vago accenno di sfumature dub, ma anche blues e jazz (radice comune del bassista e del batterista) e spruzzate di chitarra distorta con quel gusto funk sporco che non guasta mai. Suoni autentici senza tanti orpelli e appesantimenti da super-post-produzione.
Last Time, suonata dal vivo nel video sotto, è esemplificativa dello stile di questo album del marpione canadese che veleggia verso i sessanta. Buona pesca e buon ascolto.
Gruppo dal nome programmatico: black music con un vago accenno di sfumature dub, ma anche blues e jazz (radice comune del bassista e del batterista) e spruzzate di chitarra distorta con quel gusto funk sporco che non guasta mai. Suoni autentici senza tanti orpelli e appesantimenti da super-post-produzione.
Last Time, suonata dal vivo nel video sotto, è esemplificativa dello stile di questo album del marpione canadese che veleggia verso i sessanta. Buona pesca e buon ascolto.
Poster e Artworks: Rick Griffin
I Man, gruppo scozzese degli anni settanta, ebbero quasi più successo negli Stati Uniti grazie al loro sound che fondeva rock, blues, psichedelia e west coast. Nell'album Slow Motion (1974) la copertina ritraeva originariamente il celebre personaggio Alfred E. Newman star del magazine Mad. La rivista si oppose e la band dovette cedere nel far uscire la copertina ritoccata, mostrante solo una parte del disegno originale. Il disegno è dell'artista psichedelico californiano Rick Griffin, famoso per gli artworks di Quicksilver Messenger Service e Grateful Dead, fra cui la celeberrima copertina di Aoxomoxoa, terzo album della band di Jerry Garcia.
Hanno fatto storia i suoi posters realizzati per i concerti nell'età d'oro della psichedelia. Eccone un paio: Frank Zappa and Alice Cooper insieme: Original Concert Poster Cal State Fullerton, 1968. Bello anche questo per i Doors.
Rick Griffin è morto nel 1991 in California in un incidente motociclistico all'età di 47 anni.
Rick Griffin è morto nel 1991 in California in un incidente motociclistico all'età di 47 anni.
The The: alchimista solitario degli anni '80
Per i giovanissimi forse il doppio articolo del titolo non dirà molto. Per chi invece negli anni '80 non era un bambino Matt Johnson, in arte The The, dovrebbe essere un nome noto. Riuscì a conciliare il post punk con il pop senza vendersi l'anima, malgrado l'inaspettato e clamoroso successo di Uncertain smile, singolo che nel 1983 diventò un tormentone ballato nelle discoteche pseudo-alternative e passato a ripetizione in tutte le radio. Marchi di fabbrica erano l'indimenticabile introduzione di xilofono e il lungo assolo finale di pianoforte di Jools Holland. L'album in questione era Soul Mining, ma fu con i due dischi successivi: Infected del 1987 e Mind Bomb del 1989 che The The mise a punto il suo stile da songwriter di classe, attento ai temi sociali e politici, insieme al talento da polistrumentista capace di appropriarsi dei generi e miscelarli con una formula originale ed inimitabile.
Splendidi brani, molti dei quali trasformati in video, come Infected, la title track che accenna alla diffusione dell'Aids (massimo picco proprio in quegli anni); splendidi l'introduzione serrata di percussioni tribali e l'assolo di tromba a metà brano. Sweet bird of truth, invece è il primo brano della facciata B che si scaglia contro la politica imperialista delle grandi potenze, mentre Heartland è una critica alla decadenza dell'Inghilterra thatcheriana: questo è il 51° stato degli Stati Uniti.
L'altro disco imperdibile è Mind Bomb. Con The The collaborò Johnny Marr, ex chitarrista degli Smith che fa sentire la sua presenza in tutti i brani con riff incisivi e con l'armonica; in Kingdom of Rain e Good Morning Beautiful c'è Sinead O'Connor al canto. Lo stile musicale di Johnson è piuttosto indefinibile; sicuramente originale e complesso, risente agli inizi della tipica matrice pop/dance anni '80 per poi evolversi e contaminarsi con il blues-rock, il folk ed il funk. Questo è un album dall'impatto viscerale dove i brani si sviluppano come per metamorfosi, prendendo forma lentamente; durano infatti quasi tutti dai cinque minuti in su. I testi, quasi profetici, spaziano affrontando temi come le religioni, il capitalismo e l'incombente globalizzazione. Struggente e seducente, quest'opera è forse il capolavoro del genio indefinibile di Johnson. (Scaruffi).
Curioso destino quello di The The, per certi versi simile a quello dei Talk Talk, pure loro esplosi negli anni '80 con hit da classifica come It's my life e Such a same e in seguito allontanatisi progressivamente dalla scena commerciale synthpop per esplorare territori musicali distanti anni luce da quelli dei loro esordi.
Di The The si erano perse le tracce: dopo Dusk, uscito nel 1993, ben sette anni di silenzio fino alla rottura con la propria casa discografica nel 2000 e in seguito la decisione di pubblicare in proprio e distribuire sul web Nakedself, un album che non aggiunge nulla di interessante alle sue produzioni precedenti.
Di recente è uscita la colonna sonora per un film realizzato dal fratello, il regista Gerard Johnson, intitolato Tony, in uscita a febbraio.
Un milione di album
What.cd, nato nel 2007, ha da poco festeggiato il milionesimo torrent. Stiamo parlando di un tracker per scaricare musica (molti già lo conosceranno) che vanta 5 milioni di utenti, 3500 richieste al secondo e che nel suo archivio ha a disposizione circa 350.000 artisti. Si potrà ancora definire pirateria, ma mi pare che la questione abbia raggiunto una dimensione e una complessità tali per cui i governi e le major invece di escogitare improbabili strategie repressive come quelle introdotte di recente in Francia, avrebbero dovuto cercare di capire fenomeni di tale portata. A tal fine una lettura molto interessante di cui ho già parlato sei mesi fa è Punk capitalismo (come e perché la pirateria crea innovazione) di Matt Mason.
Secondo i responsabili, gli utenti di What.cd non sono pirati occasionali ma fanatici della musica che pensano realmente ad essa come forma d'arte e quindi sono interessati dalla qualità, non a scaricare i top brani del momento. Sempre secondo i responsabili del sito, per questi audiofili non ci sono negozi di download legale che offrono la stessa qualità del materiale presente su What.cd e i prezzi sono proibitivi per costruire una collezione sufficientemente ampia, così confluiscono nel sito formando la spina dorsale della comunità. (jBlogP2P)
La regola che vige in questo tipo di comunità è do ut des: i vampiri succhiatori (leech) hanno vita breve. Sempre ottima inoltre la qualità dei brani. (mp3, flac, AAC).
La fine della musica? Da anni c'è chi lo annuncia solennemente. Io non credo, forse solo la pietra tombale sulla musica a pagamento così come è stata concepita per mezzo secolo.
Il rischio bulimia è in agguato, ma come sempre in tutte le cose è una questione di scelte, di gusti e di senso della misura. Il fatto che io sia goloso e che abbia sempre libero accesso alla migliore pasticceria della città non significa che tutti i giorni debba fare indigestione di dolci (a parte l'inevitabile abbuffata iniziale).
Concludo aggiungendo che un vero amante della musica, qualsiasi fonte download utilizzi nel web, dovrebbe mantenere un minimo di etica, continuando a comprare ciò che lo entusiasma come segno di riconoscenza nei confronti di quegli artisti che rendono migliori le sue giornate grazie alla musica. Confesso che per me è impossibile rinunciare al piacere di scartare ogni tanto un nuovo cd.
Conosco un sacco di artisti che hanno fatto dischi senza le case discografiche, ma non conosco nessuna casa discografica che ha fatto dischi senza gli artisti. DJ Jazzy Jeff
Secondo i responsabili, gli utenti di What.cd non sono pirati occasionali ma fanatici della musica che pensano realmente ad essa come forma d'arte e quindi sono interessati dalla qualità, non a scaricare i top brani del momento. Sempre secondo i responsabili del sito, per questi audiofili non ci sono negozi di download legale che offrono la stessa qualità del materiale presente su What.cd e i prezzi sono proibitivi per costruire una collezione sufficientemente ampia, così confluiscono nel sito formando la spina dorsale della comunità. (jBlogP2P)
La regola che vige in questo tipo di comunità è do ut des: i vampiri succhiatori (leech) hanno vita breve. Sempre ottima inoltre la qualità dei brani. (mp3, flac, AAC).
La fine della musica? Da anni c'è chi lo annuncia solennemente. Io non credo, forse solo la pietra tombale sulla musica a pagamento così come è stata concepita per mezzo secolo.
Il rischio bulimia è in agguato, ma come sempre in tutte le cose è una questione di scelte, di gusti e di senso della misura. Il fatto che io sia goloso e che abbia sempre libero accesso alla migliore pasticceria della città non significa che tutti i giorni debba fare indigestione di dolci (a parte l'inevitabile abbuffata iniziale).
Concludo aggiungendo che un vero amante della musica, qualsiasi fonte download utilizzi nel web, dovrebbe mantenere un minimo di etica, continuando a comprare ciò che lo entusiasma come segno di riconoscenza nei confronti di quegli artisti che rendono migliori le sue giornate grazie alla musica. Confesso che per me è impossibile rinunciare al piacere di scartare ogni tanto un nuovo cd.
Conosco un sacco di artisti che hanno fatto dischi senza le case discografiche, ma non conosco nessuna casa discografica che ha fatto dischi senza gli artisti. DJ Jazzy Jeff
Quarant'anni di musica italiana
Sarà perché questo blog si chiama Sunday Morning e non Sabato Mattina che quasi mai si è parlato di musica italiana. Allora lo voglio fare io alla mia maniera, sfogliando l'album dei ricordi e aggiornando un vecchio post nel quale avevo elencato i trenta dischi italiani che ho più amato e ascoltato.
Finito il 2010 inizia un nuovo decennio e sono passati quasi 40 anni da quando ascolto musica. Ci sono esperienze che restano nitide e indelebili nella memoria, momenti di snodo in cui la propria esistenza prende una direzione ben definita. A me capitò giovanissimo quando con il mio motorino, andai al Festival della Gioventù (così si chiamavano allora): il mio primo concerto in assoluto. Quella sera decisi che avrei imparato a suonare. La musica italiana è stata il primo amore, poi abbandonato e infine parzialmente ritrovato. Sono cresciuto suonando De André, Lolli, De Gregori e Guccini e ascoltando gli Area. Poi la ventata new wave scombussolò tutte le coordinate degli anni '70 lasciando ben poco di interessante nel panorama italiano del decennio successivo, a parte le avanguardie solitamente ignorate dai media. Negli anni '90 mi sono riavvicinato gradualmente e ancor di più nel nuovo millennio con l'esplosione della rete che finalmente ha offerto a tutti la possibilità di conoscere e farsi conoscere.
Come criterio ho deciso di inserire non più di tre album dello stesso artista, altrimenti quelli di Faber sarebbero stati molti di più.
Come criterio ho deciso di inserire non più di tre album dello stesso artista, altrimenti quelli di Faber sarebbero stati molti di più.
Ovviamente si tratta di un elenco che non pretende di essere esaustivo, ma che riflette solo i miei gusti personali, che a parte alcuni punti fermi, sono mutati e si sono evoluti (qualche volta forse involuti) col passare del tempo.
Non al denaro, non all'amore nè al cielo - Fabrizio De André 1971
Aria - Alan Sorrenti 1972
Banco de Mutuo Soccorso - Omonimo 1972
Storia di un impiegato - Fabrizio De André 1973
Arbeit Macht Frei - Area 1973
Far finta di essere sani - Giorgio Gaber 1973
I buoni e i cattivi - Edoardo Bennato 1974
Anima latina - Lucio Battisti 1974
Rimmel - Francesco De Gregori 1975
Ho visto anche degli zingari felici - Claudio Lolli 1976
Via Paolo Fabbri 43 - Francesco Guccini 1976
Bufalo Bill - Francesco De Gregori 1976
MONOtono - Skiantos 1978
Sick Soundtrack - Gaznevada 1980
The Secrets Lies in Rhythm - Surprize 1982
Siberia - Diaframma 1984
Italyan, Rum Casusu Citki - Elio e le Storie Tese 1992
Daniele Silvestri - Omonimo 1994
Ust - Ustmamo 1996
Eat the phikis - Elio e le Storie Tese 1996
Anime Salve - Fabrizio De André 1996
La morte dei miracoli - Frankie HI-NRG 1997
Tabula Rasa Elettrificata - C.S.I. 1997
Lingo - Almamegretta 1998
Rospo - Quintorigo 1999
Verità supposte - Caparezza 2003
La malavita - Baustelle 2005
Controlli - Africa Unite 2006
Requiem - Verdena 2007
Amen - Baustelle 2008
Brown Rice
Sono strani i percorsi che ci portano ad amare dischi assai distanti dal genere di ascolti a cui siamo più abituati. Da giovanissimo la conoscenza e la frequentazione di persone più grandi mi è servita proprio a questo: aprire nuove porte e placare la mia fame di conoscenza musicale e non solo.
Questo album era una delle colonne sonore delle serate da mio cugino, che a vent'anni viveva già da solo. La sua casa si trasformò ben presto in un porto di mare e io ero come un mozzo che ascoltava affascinato storie dei freaks marinai e viaggi in Oriente. Anni di passaggio e trasformazione; anni che avrebbero segnato le vite di tutti noi e scatenato in molti la voglia di viaggiare e fuggire dalla vita di provincia. L'India restava ancora una meta ambita dai più grandi, compreso mio cugino, che se ne partì quando gli anni '70 erano ai titoli di coda. Ritornò sei mesi dopo con i tabla sotto braccio, ma un'epoca era ormai finita e in sua assenza si era consumato l'ammutinamento: nel giro di un inverno, sul piatto della Ca' de Camel (così battezzata per il murales della facciata) cominciarono a girare Devo, Clash e Talking Heads.
Certi suoni però non si dimenticano e col tempo riaffiorano alla mente, stimolando la curiosità e la voglia di approfondire. Così qualche anno fa mi sono procurato questo disco per tornare ad immergermi con stupore nelle sue note fluide.
Certi suoni però non si dimenticano e col tempo riaffiorano alla mente, stimolando la curiosità e la voglia di approfondire. Così qualche anno fa mi sono procurato questo disco per tornare ad immergermi con stupore nelle sue note fluide.
Don Cherry (1936-1945) è stato un personaggio incredibile. Grande trombettista ed esploratore globale, amava viaggiare, ascoltare e sperimentare sempre nuovi strumenti, specie quelli non occidentali. Il suo nome è stato legato per molti anni al free jazz come membro del quartetto di Ornette Coleman, ma è stato anche uno dei primi musicisti ad avvicinarsi alla musica etnica, utilizzandola con naturalezza molto prima che diventasse una moda.
Brown Rice (1975) è un viaggio formato da quattro composizioni; una combinazione di elementi mediorientali, africani e americani, anticipatrice della world music e frutto di una libertà compositiva irripetibile. La copertina qui a fianco è quella originale dell'album, che è stato ristampato in cd qualche anno fa con una foto del musicista con la tromba in mano.
Brown Rice ci introduce a questo disco magico con una nenia notturna, ripetitiva e ipnotica, sorretta da una fantastica linea di basso funk distorto con l'uso del wah-wah sulla quale Don Cherry sussurra parole magiche, come in una specie di rituale.
Malkauns apre con un prolungato assolo di basso dal sapore esotico dato anche dalla presenza del tamboura, uno dei più antichi strumenti dell'India, le cui corde creano quel continuo sottofondo tipico delle musica indiana. Dopo più di quattro minuti entra la tromba di Don Cherry accompagnata dalla batteria in un assolo che mette in luce tutta la sua bravura.
Chenrezic, il terzo brano, ci trasporta in un'atmosfera inizialmente dal sapore africano in cui il trombettista recita una specie di mantra spirituale. Poi entra il piano che introduce lo splendido dialogo tra tromba e sax.
Degi-degi, chiude l'album con un sapore fortemente afro-funk. E' il brano che preferisco. Inizia con un giro serrato di basso sul quale Cherry ritorna al suo sussurro rima-canto che si alterna a maestosi giri di tromba, mentre il resto della band si lancia in un groove ipnotico e poliritmico. Meravigliosa conclusione di un disco magico che ho riscoperto.
Don Cherry - tromba, electric piano, voce
Frank Lowe - sax tenore
Ricky Cherry - electric piano
Charlie Haden - acoustic bass
Hakim Jamil - acoustic bass
Moki - tamboura
Billy Higgins - batteria
Bunchie Fox - electric bongos
Verna Gillis - voce
Gaznevada - Sick Soundtrack
Ero al primo anno di università a Bologna e uscendo una sera dal mio appartamento di via Sant'Isaia per un giro in centro, scoprii quasi per caso il Punkreas, un locale ricavato nella cantina di un ex circolo anarchico. Entrai e in apparenza pareva una delle tante tipiche osterie di Bologna, ma mi sbagliavo. In pochi minuti il locale underground cominciò a riempirsi di ragazzi e ragazze che dall'aspetto non parevano i tipici studenti frequentatori di osterie. Quella sera si esibivano i Gaznevada, gruppo bolognese a me sconosciuto, probabilmente in una delle prime uscite di una certa importanza. Suonarono alcuni brani dei Ramones ma anche pezzi loro e malgrado emergessero alcuni limiti tecnici, si intuiva che stava nascendo qualcosa di nuovo. Suoni e idee partoriti dalla Bologna del '77 di Radio Alice, del movimento e della cultura alternativa, ora già post-punk e avviata verso territori comunicativi inesplorati che avrebbero portato alla luce artisti geniali come Andrea Pazienza e Scozzari e che aveva già fatto emergere un gruppo cult demenziale come gli Skiantos.
L'anno dopo comprai il loro primo 33 giri Sick Soundtrack (sottotitolo: The invincible guardians of world’s freedom) e constatai con entusiasmo che gli "sbarbi" erano parecchio migliorati sotto tutti i punti di vista. Abbandonati subito gli esordi in stile Ramones, i Gaznevada erano stati capaci di creare qualcosa di assolutamente originale per il panorama ammuffito della musica italiana di quegli anni: una nuova prospettiva musicale... erano i figli del post punk americano e furono bravissimi, autentici surfisti dell'immaginario a prendere l'onda buona della new wave adattandola alla fantasia nostrana che rifletteva nell'universo rock la parte creativa del movimento bolognese del '77. Sick Soundtrack, primo LP dei Gaznevada, era un ingorgo stupefacente di intuizioni fra Devo e Contortions ('Going Underground'), Talking Heads (Oil Tubes), no wave newyorkese, psichedelia ... (Flavio Brighenti).
Purtroppo nel giro di pochi anni furono risucchiati e integrati dal business musicale. Dopo l'uscita del singolo I.C. love affair, che nel 1982 era ballato in tutte le piste, comparvero alcune volte in tv, intristiti nello stile italian dance-music tipicamente trash di quegli anni.
Vita breve e autodistruzione di una delle band di punta della new wave italiana.
Vita breve e autodistruzione di una delle band di punta della new wave italiana.
K-X-P
Le porte del cosmo che stanno su in Germania continuano a distanza di decenni ad emanare il loro influsso sonoro. Questa volta il verbo kraut è stato raccolto e attualizzato in Finlandia da Timo Kaukolampi con il suo gruppo K-X-P. L'elettronica di Neu! e Faust rappresenta una delle loro fonti principali d'ispirazione; musica senza chitarre con un nucleo formato da patterns basso-batteria sui quali si innestano i sintetizzatori per creare un sound cosmico e pulsante che è stato definito paranoid dark disco oppure anche spaced-out krautrock meets drummy-disco-dance-party (combinazione cervellotica ma divertente, coniata dalla rivista musicale online XLR&R).
Si comincia con l'ipnotica Elephant Man (un omaggio a Lynch?); synth maestoso e percussioni tribali in un trip che svela subito in quali territori sonori si andrà a navigare: dosi massicce di elettronica per un buon album (uscito ai primi d'ottobre) in grado di sintetizzare ritmiche moderne con le radici dell'elettronica tedesca degli anni '70. Sono solo due i brani cantati; uno è quello del video.
Tracklist
01. Elephant Man
02. Mehu Moments
03. 18 Hours (Of Love) video
04. Labirynth
05. Aibal Dub
06. Pockets
07. New World
08. Epilogue
Paura della musica
Nell'agosto del 1979 uscì un disco con una copertina formata per intero da una rete metallica su sfondo nero; in alto a sinistra la scritta Talking Heads - Fear of music: opera fondamentale che preparò il terreno al successivo Remain in Light. Fu questo per Byrne e compagni il vero album della svolta, quello che anticipò le sperimentazioni di My life in the bush of ghosts e gli scenari futuri della new wave più avanguardistica. Il sound dei primi due album delle teste parlanti comincia a mutare e soprattutto a maturare a livello espressivo; i meccanismi creativi della canzone vengono vivisezionati per dare vita forme sonore inedite; entra di prepotenza l'elettronica e si allargano gli orizzonti, ponendo i primi mattoni delle contaminazioni etniche e della world music (Zimbra). Il basso di Tina Weimouth si fa più caldo, pulsante, mentre la chitarra è ormai utilizzata principalmente come strumento ritmico.
Collaborano Fripp (chitarra in Zimbra) e ovviamente Brian Eno con un ruolo sempre più determinante. E' un disco multiforme e proiettato nel futuro, un sorta di anatomia della società post-moderna, dove David Byrne ci accompagna in un viaggio intellettual-musicale nelle nostre nevrosi: a volte alienato (Drugs) a volte frenetico (Cities, Life during war time) oppure ossessivo (Mind); e nell'unica ballata del disco (Heaven) canta: Il Paradiso è il posto dove non succede mai niente. La paura della musica non è mai stata così piacevole e terribile.
Quali gruppi oggi sono ancora portatori di questo spirito visionario alla ricerca di nuovi confini e orizzonti per la loro musica?
Collaborano Fripp (chitarra in Zimbra) e ovviamente Brian Eno con un ruolo sempre più determinante. E' un disco multiforme e proiettato nel futuro, un sorta di anatomia della società post-moderna, dove David Byrne ci accompagna in un viaggio intellettual-musicale nelle nostre nevrosi: a volte alienato (Drugs) a volte frenetico (Cities, Life during war time) oppure ossessivo (Mind); e nell'unica ballata del disco (Heaven) canta: Il Paradiso è il posto dove non succede mai niente. La paura della musica non è mai stata così piacevole e terribile.
Quali gruppi oggi sono ancora portatori di questo spirito visionario alla ricerca di nuovi confini e orizzonti per la loro musica?
Gadji beri bimbra clandridi
Lauli lonni cadori gadjam
A bim beri glassala glandride
E glassala tuffm i zimbra
Bim blassa galassasa zimbrabim
Blassa gallassasa zimbrabim
Wilkinson e il concerto di Patti Smith
Wilkinson aveva un'età tra i 40 e i 50 anni, era basso di statura e corpulento, portava barba e capelli lunghi ma l'abbigliamento era sempre molto curato, con un tocco di classe dato dai cappelli a tesa larga che quasi sempre indossava. Una vera icona rock che tutti i giorni percorreva il marciapiede del corso principale facendo tappa metodicamente in tutti i bar a bere superalcolici, fottendosene di tutto e di tutti. Un po' ci metteva soggezione, ma era diventato l'idolo di noi giovinastri per i suoi show improvvisi ed esilaranti. Di giorno solitamente parlava poco, forse perché troppo impegnato nell'opera di autodistruzione etilica e se si rivolgeva a qualcuno, non lo faceva per dialogare, ma per esprimere un concetto o un ragionamento non sempre di facile interpretazione. Una frase ermetica diventata storica fu quella che pronunciò verso di me una volta che lo incrociai sulla porta del bar: - Ti ricordi quando eri di plastica?
Un po' più pesante fu l'invettiva che un pomeriggio urlò rivolto al prete, vedendolo passare: - Le suore le abbiamo già chxxxxxe tutte, adesso vogliamo incxxxxxe i preti. Eravamo seduti all'esterno del bar e l'imbarazzo fu totale, ma tutti lo conoscevano e lo tolleravano, tanti lo avevano in simpatia. Con il passare degli anni la sua camminata si fece sempre più lenta e strascicata, il respiro affannoso; l'alcol lo stava devastando e probabilmente fu proprio in quel periodo, quando fu obbligato a ridurne il consumo, che cominciò a soffrire di delirium tremens. Fu visto e sentito mentre urlava guardandosi attorno: - Wilkinson dove sei? Lo so che sei venuto a uccidermi. Chissà da quale incubo era uscito il suo uomo. Brutta bestia l'alcolismo.
Quando era ancora in forma ogni tanto lo si vedeva sfrecciare con il Cavalcone, il motore da cross che ben presto gli venne requisito. Finì nelle cronache locali perché un giorno, senza essere visto, salì su un furgone del latte, lo mise in moto e partì. Poco dopo fu avvistato e inseguito dalla polizia sulla strada per Bologna. Vistosi raggiunto, accostò il furgone, scese e tentò la fuga nei campi. I poliziotti, una volta che l'ebbero catturato e identificato, capirono subito che non era un furto "normale" e quando gli chiesero il motivo del suo gesto, rispose che l'aveva fatto perché doveva andare al concerto di Patti Smith. Il giorno dopo sulla cronaca del Resto del Carlino:
"RUBA FURGONE DEL LATTE PER ANDARE AL CONCERTO DI PATTI SMITH".
Chissà cosa gli era scattato. Probabilmente qualcuno gli aveva detto che ci sarebbe andato e in ogni caso, con la fame di concerti che c'era in quegli anni, fu un evento da non perdere. Quella magica sera a Bologna c'ero anch'io: fu il mio primo concerto; per Wilkinson fu solo un goffo tentativo di fuga dai suoi demoni, che però contribuì a rendercelo ancora più simpatico.
"RUBA FURGONE DEL LATTE PER ANDARE AL CONCERTO DI PATTI SMITH".
Chissà cosa gli era scattato. Probabilmente qualcuno gli aveva detto che ci sarebbe andato e in ogni caso, con la fame di concerti che c'era in quegli anni, fu un evento da non perdere. Quella magica sera a Bologna c'ero anch'io: fu il mio primo concerto; per Wilkinson fu solo un goffo tentativo di fuga dai suoi demoni, che però contribuì a rendercelo ancora più simpatico.
Ci eravamo affezionati e la sua presenza accompagnava i nostri pomeriggi di studenti svogliati e le calde notti estive, quando si tirava tardi davanti al bar già chiuso. Spesso si affacciava e, quando era in forma, cominciavano discussioni surreali sui massimi sistemi. Quasi mai veniva preso in giro, perché in fondo lo sentivamo come uno di noi, poco inclini ad integrarci nella monotona vita di provincia. Qualche stupido ogni tanto ci provava, ma Wilkinson aveva una specie di radar: con calma e compostezza, chiudeva gli scuroni e con un cordiale "buonanotte ragazzi" usciva di scena; un vero loser di classe. Una sera vedemmo del fumo uscire dalla finestra e poco dopo arrivarono i vigili del fuoco: Wilkinson aveva dato fuoco al letto. "E brusa ben parò" fu il suo secco commento.
Se ne andò per sempre versò la metà degli anni '80. Amici di un gruppo rock locale composero e gli dedicarono una canzone. Chissà quale splendida poesia in musica avrebbe saputo comporre Faber se lo avesse conosciuto.
Neil Young - On the Beach
Nell'epoca pre-internet gli spartiti musicali erano carissimi e introvabili. Io avevo solo quello di Harvest, che sapevo suonare a memoria. Quando il mio grande amico Gigi (detto Belgio perché risiedeva con la famiglia a Bruxelles) tornò al paese per le consuete vacanze estive con lo spartito di On the beach, fu per me un regalo inaspettato.
Blues, malinconico, struggente: è uno dei miei dischi preferiti di Neil Young. La sua copertina enigmatica mi ha sempre affascinato, a cominciare dal rottame di Cadillac che spunta dalla sabbia, simile ad un razzo schiantatosi sulla spiaggia. Il giallo è il colore dominante, ma l'insieme trasmette tristezza, come una giornata di fine estate. Forse il definitivo addio all'utopia di Woodstock e al movimento hippie? Neil Young, di spalle, è solo di fronte all'oceano della vita: il rimorso per la morte da eroina degli amici Bruce Barry e Danny Whitten (chitarrista dei Crazy Horse); la solitudine per il fallimento della relazione con la moglie, l'attrice Carrie Snoodgress; la scoperta della malattia cerebrale del figlio Zeke. Dopo i trionfi di Harvest, due anni terribili dai quali se ne uscì con un capolavoro, all'epoca poco compreso. Una parte della stampa specializzata lo bollò come deprimente.
Un altro oggetto significativo della copertina, anche se non in gran evidenza, è il giornale: il titolo della facciata richiama il caso Watergate che portò alle dimissioni di Nixon. Neil Young non aveva mai nascosto il suo disprezzo nei confronti presidente americano, reso esplicito nel testo della famosa e tragica Ohio (Tin soldier and Nixon coming) in cui vengono rievocati gli avvenimenti del 1970, quando quattro studenti vennero uccisi durante una manifestazione dalla guardia nazionale.
Vicenda strana quella dell'uscita in versione CD. Si è dovuto attendere parecchio, fino al 2003. NY si era intestardito nel non voler pubblicare l'album, dichiarandosi non soddisfatto della qualità audio. Una petizione online di migliaia di fan alla fine lo ha convinto.
Tutta la mia devozione a colui che considero quasi come un fratello maggiore che mi ha insegnato a suonare la chitarra.