Sono strani i percorsi che ci portano ad amare dischi assai distanti dal genere di ascolti a cui siamo più abituati. Da giovanissimo la conoscenza e la frequentazione di persone più grandi mi è servita proprio a questo: aprire nuove porte e placare la mia fame di conoscenza musicale e non solo.
Questo album era una delle colonne sonore delle serate da mio cugino, che a vent'anni viveva già da solo. La sua casa si trasformò ben presto in un porto di mare e io ero come un mozzo che ascoltava affascinato storie dei freaks marinai e viaggi in Oriente. Anni di passaggio e trasformazione; anni che avrebbero segnato le vite di tutti noi e scatenato in molti la voglia di viaggiare e fuggire dalla vita di provincia. L'India restava ancora una meta ambita dai più grandi, compreso mio cugino, che se ne partì quando gli anni '70 erano ai titoli di coda. Ritornò sei mesi dopo con i tabla sotto braccio, ma un'epoca era ormai finita e in sua assenza si era consumato l'ammutinamento: nel giro di un inverno, sul piatto della Ca' de Camel (così battezzata per il murales della facciata) cominciarono a girare Devo, Clash e Talking Heads.
Certi suoni però non si dimenticano e col tempo riaffiorano alla mente, stimolando la curiosità e la voglia di approfondire. Così qualche anno fa mi sono procurato questo disco per tornare ad immergermi con stupore nelle sue note fluide.
Certi suoni però non si dimenticano e col tempo riaffiorano alla mente, stimolando la curiosità e la voglia di approfondire. Così qualche anno fa mi sono procurato questo disco per tornare ad immergermi con stupore nelle sue note fluide.
Don Cherry (1936-1945) è stato un personaggio incredibile. Grande trombettista ed esploratore globale, amava viaggiare, ascoltare e sperimentare sempre nuovi strumenti, specie quelli non occidentali. Il suo nome è stato legato per molti anni al free jazz come membro del quartetto di Ornette Coleman, ma è stato anche uno dei primi musicisti ad avvicinarsi alla musica etnica, utilizzandola con naturalezza molto prima che diventasse una moda.
Brown Rice (1975) è un viaggio formato da quattro composizioni; una combinazione di elementi mediorientali, africani e americani, anticipatrice della world music e frutto di una libertà compositiva irripetibile. La copertina qui a fianco è quella originale dell'album, che è stato ristampato in cd qualche anno fa con una foto del musicista con la tromba in mano.
Brown Rice ci introduce a questo disco magico con una nenia notturna, ripetitiva e ipnotica, sorretta da una fantastica linea di basso funk distorto con l'uso del wah-wah sulla quale Don Cherry sussurra parole magiche, come in una specie di rituale.
Malkauns apre con un prolungato assolo di basso dal sapore esotico dato anche dalla presenza del tamboura, uno dei più antichi strumenti dell'India, le cui corde creano quel continuo sottofondo tipico delle musica indiana. Dopo più di quattro minuti entra la tromba di Don Cherry accompagnata dalla batteria in un assolo che mette in luce tutta la sua bravura.
Chenrezic, il terzo brano, ci trasporta in un'atmosfera inizialmente dal sapore africano in cui il trombettista recita una specie di mantra spirituale. Poi entra il piano che introduce lo splendido dialogo tra tromba e sax.
Degi-degi, chiude l'album con un sapore fortemente afro-funk. E' il brano che preferisco. Inizia con un giro serrato di basso sul quale Cherry ritorna al suo sussurro rima-canto che si alterna a maestosi giri di tromba, mentre il resto della band si lancia in un groove ipnotico e poliritmico. Meravigliosa conclusione di un disco magico che ho riscoperto.
Don Cherry - tromba, electric piano, voce
Frank Lowe - sax tenore
Ricky Cherry - electric piano
Charlie Haden - acoustic bass
Hakim Jamil - acoustic bass
Moki - tamboura
Billy Higgins - batteria
Bunchie Fox - electric bongos
Verna Gillis - voce
brown rice è un bel ricordo anche per me..nella prima metà dei 70 mi avvicinai al jazz, e cherry era un mio must..
Don Cherry mi fa sbiellare, soprattutto Eternal Now (di recente pubblicato in doppio CD insieme al magnifico Live in Ankara). Questo invece non lo conosco, grazie mille Lucien per averlo segnalato e per avercelo raccontato :)
Insomma un assieme molto interessante, sono incuriosito magari in queste fredde serate mi porterà verso terre più calde... grazie Agenzia Viaggi Lucien.
l'ho preso. (anche free jazz del quartetto di coleman).
mi piace molto.
il secondo brano mi ricorda la struttura del secondo lato di 'no pussyfooting' di eno-fripp, con quella lunga tessitura in sottofondo su cui incomincia a volare lo strumento solista.
bel blog.
ciao,
pierluca.