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Don't Stop - Fleetwood Mac

Quando ragazzo che ancora andava alle medie compravo Ciao2001 pensavo, leggendo le classifiche oltreoceano di vendita dei dischi, che ci fosse un errore.
Non era infatti possibile che tutti i mesi sempre ci fosse questo sconociuto "Rumours" di certi altrettanto sconociuti Fleetwood Mac sempre al numero 1 negli USA.
Quanto vi rimase? E chi lo sa, non mi ricordo, ma per moltissimo tempo.(Immagino che basti guardare su google per saperlo).
Le radio lo trasmettevano, avevo cominciato a cercarlo con la manopola della sintonizzazione e scoprii che la sigla di una delle mie tramissioni preferite su una radio locale era un pezzo dei Fleetwood da Rumours: Never Going Back Again.
Ricordo quando ho sentito per la prima volta "Don't Stop", ricordo l'effetto trascinante e piacevole di quella canzone: bellissima.
L'autrice della canzone è Christine Mc Vie e la canzone parla della vita, delle sue difficoltà. Dice delle cose semplici, che il tempo passa, che le persone cambiano, cambiano i sentimenti, finiscono amori e unioni, ma non ci si deve arrendere quando ci si sente sconfitti, dice che c'è sempre la possibilità di ricominciare, di avere una nuova vita anche migliore, basta non perdersi d'animo e non fermarsi a piangere il tempo passato.
Ecco il testo:
If you wake up and don't want to smile,
If it takes just a little while,
Open your eyes and look at the day,
You'll see things in a different way.
Don't stop, thinking about tomorrow,
Don't stop, it'll soon be here,
It'll be, better than before,
Yesterday's gone, yesterday's gone.
Why not think about times to come,
And not about the things that you've done,
If your life was bad to you,
Just think what tomorrow will do.
Don't stop, thinking about tomorrow,
Don't stop, it'll soon be here,
It'll be, better than before,
Yesterday's gone, yesterday's gone.
All I want is to see you smile,
If it takes just a little while,
I know you don't believe that it's true,
I never meant any harm to you.
Don't stop, thinking about tomorrow,
Don't stop, it'll soon be here,
It'll be, better than before,
Yesterday's gone, yesterday's gone.
Don't you look back,
Don't you look back.
Dimenticavo l'album è del 1977, ed il video sotto è del 1997...e a parte una gran quantià di chirurgia plastica sembrano una band di ragazzini tanto si stanno divertendo.
Buon divertimento. Dedicato a tutti quelli che non si arrendono ed in particolare ad Alessandro.
Non era infatti possibile che tutti i mesi sempre ci fosse questo sconociuto "Rumours" di certi altrettanto sconociuti Fleetwood Mac sempre al numero 1 negli USA.
Quanto vi rimase? E chi lo sa, non mi ricordo, ma per moltissimo tempo.(Immagino che basti guardare su google per saperlo).
Le radio lo trasmettevano, avevo cominciato a cercarlo con la manopola della sintonizzazione e scoprii che la sigla di una delle mie tramissioni preferite su una radio locale era un pezzo dei Fleetwood da Rumours: Never Going Back Again.
Ricordo quando ho sentito per la prima volta "Don't Stop", ricordo l'effetto trascinante e piacevole di quella canzone: bellissima.
L'autrice della canzone è Christine Mc Vie e la canzone parla della vita, delle sue difficoltà. Dice delle cose semplici, che il tempo passa, che le persone cambiano, cambiano i sentimenti, finiscono amori e unioni, ma non ci si deve arrendere quando ci si sente sconfitti, dice che c'è sempre la possibilità di ricominciare, di avere una nuova vita anche migliore, basta non perdersi d'animo e non fermarsi a piangere il tempo passato.
Ecco il testo:
If you wake up and don't want to smile,
If it takes just a little while,
Open your eyes and look at the day,
You'll see things in a different way.
Don't stop, thinking about tomorrow,
Don't stop, it'll soon be here,
It'll be, better than before,
Yesterday's gone, yesterday's gone.
Why not think about times to come,
And not about the things that you've done,
If your life was bad to you,
Just think what tomorrow will do.
Don't stop, thinking about tomorrow,
Don't stop, it'll soon be here,
It'll be, better than before,
Yesterday's gone, yesterday's gone.
All I want is to see you smile,
If it takes just a little while,
I know you don't believe that it's true,
I never meant any harm to you.
Don't stop, thinking about tomorrow,
Don't stop, it'll soon be here,
It'll be, better than before,
Yesterday's gone, yesterday's gone.
Don't you look back,
Don't you look back.
Dimenticavo l'album è del 1977, ed il video sotto è del 1997...e a parte una gran quantià di chirurgia plastica sembrano una band di ragazzini tanto si stanno divertendo.
Buon divertimento. Dedicato a tutti quelli che non si arrendono ed in particolare ad Alessandro.
Thunder Road - Bruce Springsteen

Born to run è l'album di Springsteen che segna il passaggio dallo status di rocker famoso solo nel New Jersey, per i suoi interminabili e super energetici concerti, a stella del firmamento internazionale della musica. I primi due album "Greetings from Asbury Park NJ" e "The Wild the Innocent & the E street shuffle" non ebbero il successo che la casa discografica si attendeva. Springsteen si trovava di fronte al bivio, da una parte una onesta carriera, probabilmente a declinare lentamente, in ambito locale, e dall'altra parte l'ultima occasione per diventare il Boss. Si sa com'è andata.Il disco si apre con "Thunder road". Comincia con le note stridenti dell'armonica a bocca e di un pianoforte. La canzone secondo me è struggente. Ha una particolarità: è posizionata in apertura di disco quando dovrebbe essere posta in chiusura. Armonica….pianoforte …la voce di Springsteen… "The screen door slams.....Roy Orbison's singing for the lonely", sottintendono che qualcosa sia già successo. Molti dicono che la canzone sia trascinante e colgono tutt'altro che il senso di nostalgia, che ravviso io. Allora per controprova provate ad ascoltarne la versione che si trova, oltre che in decine di bootleg, su "Live 1975-1985".:è' completamente diversa. Credo che si possa spiegare questa differenza di sensazioni che si provano circa la medesima canzone, facendo alcune considerazioni. Una prima è legata all'arrangiamento della stessa. Su "Born to run" , la canzone nasce, in fase di composizione, al pianoforte, gli arrangiamenti sono ricchi, forse troppo, e ne accentuano il tono epico, della partenza verso un futuro di successo, solo l'armonica ne caratterizza un aspetto che al tempo era senz'altro presente all'autore, quello del lasciare il mondo che lo ha visto crescere. Nell'arrangiamento molto più scarno e semplice proposto in "Live 1975-1985" invece mette l'accento sul passato, su qualcosa di irripetibile, sulla sua formazione, su un mondo che non c'è più, tutto ciò che è qui esplicito era già implicito nell'originale. Springsteen stava partendo, si stava trasformando, la sua sensibilità, il suo mondo poetico era cambiato, maturato. Qui il boss parla di sé e di tutti noi che cresciamo, che lasciamo le stanze, le strade della nostra infanzia, della nostra giovinezza, i nostri ricordi e gli oggetti che li ospitano. Qui non siamo più ad Asbury park, potrebbe essere qualunque luogo dell'america o del mondo.
I personaggi che Springsteen ci propone diventano universali, come avviene nella grande letteratura, trascendono il tempo e lo spazio e noi ci possiamo riconoscere in loro ora come trent'anni fa o fra trent'anni.L'autore diventa adulto, così come i suoi testi, la sua musica; ancora una citazione del boss:"Quando la vetrata sbatte in Thunder Road non ci troviamo più necessariamente lungo la costa del New Jersey. Potremmo essere ovunque in America. Così iniziarono a prendere forma i personaggi, di cui avrei delineato le vite nei decenni successivi. Quello fu l'album in cui superai le mie concezioni adolescenziali dell'amore e della libertà."Infine c'è una particolarità del modo di scrivere canzoni di Springsteen, che si trova già in Thunder road e per estensione nell'album Born to run. Si tratta di questo: in alcune canzoni, l'ho notato soprattutto in quelle di maggior successo, la scrittura della musica e dei testi sembrano andare in contraddizione, su due vie divergenti. Così l'arrangiamento fin troppo ricco di Thunder road evoca un incedere grandioso, di speranze e sempre nuovi orizzonti, mentre il testo è permeato di dolore e nostalgia i versi finali della canzone dicono:
"It's a town full of losers ,And i'm pulling out of here to win"
"E' una città di perdenti, e io me ne sto andando per vincere"
Questi versi dicono molte cose, dicono che si allontana dalla sua città, dai suoi affetti, costretto a cercare una rivincita e il successo altrove, è anche lui, e ne è consapevole, tra i perdenti e l'unica reazione possibile è la partenza.
Anni dopo, nella sua canzone di maggior successo "Born in the U.S.A.", accanto ad un testo durissimo, che è un pugno nello stomaco al modo di vivere americano e alle condizioni di vita dei poveri in america (ne riporto a titolo esemplificativo solo i primi due versi):
"Born down in a dead man's town, The first kick was when i hit the ground"
"Nato in una città di morti, Il primo calcio l'ho preso quando ho toccato terra"
si affianca una musica che al contrario sembra un inno all'"american way of life", tanto che la canzone fu pesantemente strumentalizzata da Reagan negli anni '80, e solo relativamente di recente Springsteen l'ha riconfezionata con un arrangiamneto acustico che ha tolto tutti i dubbi interpretativi circa il reale significato da attribuirle.Tutta la carriera di Springsteen a cominciare dalla metà degli anni settanta e ad arrivare alla maturità degli anni 90 sembra venata da questa schizofrenia testo-musica, quasi avesse bisogno di suonare dal vivo per molto tempo le sue canzoni perché queste si stabilizzino su un'interpretazione definitiva, vengano sviluppate dal loro nucleo originale.
I personaggi che Springsteen ci propone diventano universali, come avviene nella grande letteratura, trascendono il tempo e lo spazio e noi ci possiamo riconoscere in loro ora come trent'anni fa o fra trent'anni.L'autore diventa adulto, così come i suoi testi, la sua musica; ancora una citazione del boss:"Quando la vetrata sbatte in Thunder Road non ci troviamo più necessariamente lungo la costa del New Jersey. Potremmo essere ovunque in America. Così iniziarono a prendere forma i personaggi, di cui avrei delineato le vite nei decenni successivi. Quello fu l'album in cui superai le mie concezioni adolescenziali dell'amore e della libertà."Infine c'è una particolarità del modo di scrivere canzoni di Springsteen, che si trova già in Thunder road e per estensione nell'album Born to run. Si tratta di questo: in alcune canzoni, l'ho notato soprattutto in quelle di maggior successo, la scrittura della musica e dei testi sembrano andare in contraddizione, su due vie divergenti. Così l'arrangiamento fin troppo ricco di Thunder road evoca un incedere grandioso, di speranze e sempre nuovi orizzonti, mentre il testo è permeato di dolore e nostalgia i versi finali della canzone dicono:
"It's a town full of losers ,And i'm pulling out of here to win"
"E' una città di perdenti, e io me ne sto andando per vincere"
Questi versi dicono molte cose, dicono che si allontana dalla sua città, dai suoi affetti, costretto a cercare una rivincita e il successo altrove, è anche lui, e ne è consapevole, tra i perdenti e l'unica reazione possibile è la partenza.
Anni dopo, nella sua canzone di maggior successo "Born in the U.S.A.", accanto ad un testo durissimo, che è un pugno nello stomaco al modo di vivere americano e alle condizioni di vita dei poveri in america (ne riporto a titolo esemplificativo solo i primi due versi):
"Born down in a dead man's town, The first kick was when i hit the ground"
"Nato in una città di morti, Il primo calcio l'ho preso quando ho toccato terra"
si affianca una musica che al contrario sembra un inno all'"american way of life", tanto che la canzone fu pesantemente strumentalizzata da Reagan negli anni '80, e solo relativamente di recente Springsteen l'ha riconfezionata con un arrangiamneto acustico che ha tolto tutti i dubbi interpretativi circa il reale significato da attribuirle.Tutta la carriera di Springsteen a cominciare dalla metà degli anni settanta e ad arrivare alla maturità degli anni 90 sembra venata da questa schizofrenia testo-musica, quasi avesse bisogno di suonare dal vivo per molto tempo le sue canzoni perché queste si stabilizzino su un'interpretazione definitiva, vengano sviluppate dal loro nucleo originale.
Supper's Ready - Genesis

"Supper's ready" dall'abum Foxtrot dei Genesis anno 1972. Tutto è bello in questo capolavoro dei Genesis. L'incredibile copertina surreale, barocca, simbolista. Quanto tempo passato a guardarla. La misteriosa "FoxyLady" sul lastrone di ghiaccio. I cacciatori, quello con il naso da Pinocchio, quello che si asciuga le lacrime, quello con la faccia da scimmia ed un orecchio alla "spock" quello con la faccia verde. Il ciclista che si sta avvicinando a gran velocità, i sette membri del ku-klux-klan in processione con la croce, la balena (di pinocchio?) il sottomarino (ventimila leghe sotto i mari?). Non lo so, ci ho sognato su questa come su mille altre copertine, fantasticato, cercato di trovare simboli, significati, faceva parte del gioco. In questo momento sto confrontando la copertina dell'album e quella del cd, in quest'ultima mancano metà dei personaggi che ho elencato prima, si vedono giusto la "foxylady" e tre dei cacciatori, pochino per poter ancora viaggiare con la fantasia.
"Supper's ready" occupa, con "Horizons" tutta la facciata B dell'album ed è lunga 23 minuti; minutaggi d'altri tempi, dei tempi eroici del progressive-rock. Una suite, una miniera di idee, quanto ad invenzioni ci si potrebbero ricavare parecchi album. Ma quelli erano per i Genesis tempi di incontrollabile creatività, bisogno artistico di esprimersi incontenibile. Qui la forma canzone per Gabriel già non è più sufficiente, ha bisogno di spazio di esprimersi artisticamente su più livelli contemporaneamente, il livello musicale, letterario, teatrale: i suoi famosi travestimenti vera sceneggiatura dei testi delle canzoni, invenzioni continue tese all'arte totale. Tempi di grande speranze ed illusioni per la musica rock, stava diventando grande ed aveva bisogno di affermarlo, aveva sete di riconoscimenti. Li ha avuti.La suite è divisa in sette movimenti (di solito si parla di movimenti nella musica classica...forse vorrà dire qualcosa pure questo) senza soluzioni di continuità, non ci sono spazi "bianchi" tra un movimento e l'altro."Walking across the sitting room..." così comincia il primo movimento: "Lover's Leap". La voce di Gabriel, bellissima, molto espressiva, sostenuta da un arpeggio leggerissimo di chitarra, interpreta ogni sfumatura, ogni piega del testo, prende letteralmente per mano l'ascoltatore e lo accompagna in "Lover's Leap" e poi per tutta la canzone non abbandonandolo mai, esattamente come la voce di un adulto che legge una fiaba ad un bambino, affascinante!"I know a farmer who looks after the farm" e si passa dalla voce sostenuta solo dall'arpeggio di chitarra a tutti gli altri strumenti in particolare il fantastico mellotron di Banks e la qui splendida batteria di Collins, con quel suono di pelli tese pieno che fosse una pietanza riempirebbe rotonda tutto il palato. Da qui in avanti i cambi fantasmagorici di tempi ed atmosfere non si contano. Un crescendo di virtuosismi strumentali e vocali. Il suono delle tastiere detta i tempi, sostenuto dalla batteria sempre perfetta.I giochi di parole di Gabriel diventano arte trascendendo i testi:
"Supper's ready" occupa, con "Horizons" tutta la facciata B dell'album ed è lunga 23 minuti; minutaggi d'altri tempi, dei tempi eroici del progressive-rock. Una suite, una miniera di idee, quanto ad invenzioni ci si potrebbero ricavare parecchi album. Ma quelli erano per i Genesis tempi di incontrollabile creatività, bisogno artistico di esprimersi incontenibile. Qui la forma canzone per Gabriel già non è più sufficiente, ha bisogno di spazio di esprimersi artisticamente su più livelli contemporaneamente, il livello musicale, letterario, teatrale: i suoi famosi travestimenti vera sceneggiatura dei testi delle canzoni, invenzioni continue tese all'arte totale. Tempi di grande speranze ed illusioni per la musica rock, stava diventando grande ed aveva bisogno di affermarlo, aveva sete di riconoscimenti. Li ha avuti.La suite è divisa in sette movimenti (di solito si parla di movimenti nella musica classica...forse vorrà dire qualcosa pure questo) senza soluzioni di continuità, non ci sono spazi "bianchi" tra un movimento e l'altro."Walking across the sitting room..." così comincia il primo movimento: "Lover's Leap". La voce di Gabriel, bellissima, molto espressiva, sostenuta da un arpeggio leggerissimo di chitarra, interpreta ogni sfumatura, ogni piega del testo, prende letteralmente per mano l'ascoltatore e lo accompagna in "Lover's Leap" e poi per tutta la canzone non abbandonandolo mai, esattamente come la voce di un adulto che legge una fiaba ad un bambino, affascinante!"I know a farmer who looks after the farm" e si passa dalla voce sostenuta solo dall'arpeggio di chitarra a tutti gli altri strumenti in particolare il fantastico mellotron di Banks e la qui splendida batteria di Collins, con quel suono di pelli tese pieno che fosse una pietanza riempirebbe rotonda tutto il palato. Da qui in avanti i cambi fantasmagorici di tempi ed atmosfere non si contano. Un crescendo di virtuosismi strumentali e vocali. Il suono delle tastiere detta i tempi, sostenuto dalla batteria sempre perfetta.I giochi di parole di Gabriel diventano arte trascendendo i testi:
If you go down to Willow Farm,
to look for butterflies, flutterbyes,
gutterflies Open your eyes,
it's full of surprise,
everyone lies,
like the focks on the rocks,
and the musical box.
Ed ancora
There's Winston Churchill dressed in drag,
He used to be a British flag,
plastic bag, what a drag.
The frog was a prince,
the prince was a brick,
the brickWas an egg,
and the egg was a bird
Ci sono poi punti nella suite che trovo inarrivabili per inventività e bellezza della musica. Siamo circa a metà del 5° movimento, "Willow farm", c'è un cambio di tempo che è anche cambio di canzone, di tutto, di prospettiva: uno stop, un colpo di fischietto, una porta d'automobile?! (yellow submarine?) che si chiude una voce fuori campo dice ok! la voce di Gabriel e quella di Collins!? che dialogano (Collins in falsetto!).Un flauto dolce introduce "Apocalypse in 9/8", un crescendo strumentale, Gabriel che incalza raccontando lo scontro finale con il Drago che esce dal mare e le fiamme che scendono dal cielo, un intermezzo in cui c'è un assolo splendido e molto progressivo di Banks con la batteria di Collins che lo sostiene e che gli dà continui spunti: sono senza parole. Gabriel riprende urlando "666 is no longer alone".Finalmente, come in ouverture 1812 di Tchaikovsky a celebrare la vittoria su Napoleone, le campane introducono l'ultimo movimento.
Lord Of Lords,King of Kings,
To take them to the new Jerusalem.
Wish You Were Here - Pink Floyd

Una metafora culinaria per uno dei miei album preferiti dei Floyd: Wish You Were Here.
5 canzoni in tutto per uno degli album più famosi e più di successo della storia della musica rock.
Milioni di copie vendute, una straordinaria e surreale copertina, testi nostalgici, a tratti di alto lirismo e tutti dedicati al fondatore del gruppo: Syd Barrett.
Penso che sia Syd quella foto della copertina interna e precisamente quel sacchetto di cellophane che corre tra i filari d'alberi trascinato non più dalla sua volontà ma dal vento che scompiglia i capelli.
Un metafora culinaria dicevo: lo immagino come un enorme e succoso hamburger (mica uno di quelli di McDonald, eh) con Shine on You Crazy Diamond parte 1 e parte 2 a far da fette di pane, fragranti e croccanti, con Welcome To The Machine, Have a Cigar e Wish You Were Here a costituire l’imbottitura.
Welcome To The Machine, inquietante, quasi sperimentale, algida che preannuncia i temi disperati di Animals citando Huxley e preparando l’avvento dei testi orwelliani di Animal Farm.
Have a Cigar ovvero l’alienazione da successo, segue temporalmente e logicamente Money: i segni di saturazione e alienazione sono ormai evidentissimi.
E poi c’è Wish You Were Here, il canto ed il suono di due amici per chi non c’è più. Loro stessi si sono persi tra le braccia di una creatura mostruosa, una macchina da soldi, lontani dalla sperimentazione, dal divertimento, perfetti ingranaggi dell show business.
Quanta nostalgia in quelle parole:
Canzone sempre fantastica, nonostante il tempo che passa. Ha dentro di sé una montagna di nostalgia vera, non costruita a tavolino. Può non piacere la canzone ma dentro c’è vita, c’è verità c’è vissuto.
E poi resterebbero delle cose da dire pure “sulle due fette di pane”, dopo aver parlato della deliziosa imbottitura, e così per Shine On You Crazy Diamond preferisco linkarvi qui.
Per sempre:
"Remember when you were young, you shone like the sun. Shine on you crazy diamond".
5 canzoni in tutto per uno degli album più famosi e più di successo della storia della musica rock.
Milioni di copie vendute, una straordinaria e surreale copertina, testi nostalgici, a tratti di alto lirismo e tutti dedicati al fondatore del gruppo: Syd Barrett.
Penso che sia Syd quella foto della copertina interna e precisamente quel sacchetto di cellophane che corre tra i filari d'alberi trascinato non più dalla sua volontà ma dal vento che scompiglia i capelli.
Un metafora culinaria dicevo: lo immagino come un enorme e succoso hamburger (mica uno di quelli di McDonald, eh) con Shine on You Crazy Diamond parte 1 e parte 2 a far da fette di pane, fragranti e croccanti, con Welcome To The Machine, Have a Cigar e Wish You Were Here a costituire l’imbottitura.
Welcome To The Machine, inquietante, quasi sperimentale, algida che preannuncia i temi disperati di Animals citando Huxley e preparando l’avvento dei testi orwelliani di Animal Farm.
Have a Cigar ovvero l’alienazione da successo, segue temporalmente e logicamente Money: i segni di saturazione e alienazione sono ormai evidentissimi.
E poi c’è Wish You Were Here, il canto ed il suono di due amici per chi non c’è più. Loro stessi si sono persi tra le braccia di una creatura mostruosa, una macchina da soldi, lontani dalla sperimentazione, dal divertimento, perfetti ingranaggi dell show business.
Quanta nostalgia in quelle parole:
How I wish, how I wish you were here.
We're just two lost souls swimming in a fish bowl,
year after year,
running over the same old ground. What have we found?
The same old fears,
wish you were here.
We're just two lost souls swimming in a fish bowl,
year after year,
running over the same old ground. What have we found?
The same old fears,
wish you were here.
Canzone sempre fantastica, nonostante il tempo che passa. Ha dentro di sé una montagna di nostalgia vera, non costruita a tavolino. Può non piacere la canzone ma dentro c’è vita, c’è verità c’è vissuto.
E poi resterebbero delle cose da dire pure “sulle due fette di pane”, dopo aver parlato della deliziosa imbottitura, e così per Shine On You Crazy Diamond preferisco linkarvi qui.
Per sempre:
"Remember when you were young, you shone like the sun. Shine on you crazy diamond".
The Sidewinder - Lee Morgan
La canzone che poi diede anche il titolo all'LP di Morgan è uno di quegli instant-hits che negli anni d'oro del jazz capitavano come poi nella musica rock. The Sidewinder al pari del serpente da cui prende il nome si muove e si svolge con sinuosità, trasversalmente, punzecchiando la testa, annidandosi per sempre nel cervello e non uscendone più, attaccandosi lì come un qualche tormentone estivo. Un pezzo con un ritmo che diventò negli anni successivi un pattern per decine e decine di Lps che cominciavano con un gran bel pezzo funkeggiante che serviva poi però solo a nascondere la pochezza di cui era poi composto il resto dell'album.
Jazz hits, oggi qualcosa di sconosciuto e persino inconcepibile, ma al tempo, tra la fine degli anni 50 ed i primi 60 non era rarità anche se delle dimensioni di The Sidewinder, così su due piedi mi vengono in mente solo So What del divino Miles e Watermelon Man di Herbie Hancock.
The Sidewinder fu anche il miglior album di Lee Morgan, non essendo più riuscito dopo a raggiungere quelle vette, avendo però mantenuto comunque una produzione più che buona.
All'album, registrato il 21 dicembre 1963 da Rudy Van Gelder negli omonimi studi di Engelwood Cliffs, parteciparono Joe Henderson al sax tenore, Barry Harris piano, Bob Crenshaw basso e Billy Higgins batteria. Henderson è protagonista di alcuni assoli veramente rimarchevoli all'altezza di quelli di Morgan con un interplay da manuale tra tromba e sassofono. Il piano di Harrs scandisce il ritmo come un metronomo, ascoltate il lavoro che fa in The Sidewinder, perfettamente accompagnato dal duo basso batteria.
La bellezza ed il successo del pezzo d'apertura oscurarono le altre canzoni, in realtà tutte meritevoli e di grande bellezza, in particolare Totem Pole (che avrebbe potuto benissimo essere un altro hit) e la finale Hocus Pocus.
Se posso insistere vi consiglierei di procurarvi un qualche modo l'album (ora i Blue Note i trovano nei negozi e pochi euro) che questo è un disco che piace anche a chi non è appassionato di jazz.
Jazz hits, oggi qualcosa di sconosciuto e persino inconcepibile, ma al tempo, tra la fine degli anni 50 ed i primi 60 non era rarità anche se delle dimensioni di The Sidewinder, così su due piedi mi vengono in mente solo So What del divino Miles e Watermelon Man di Herbie Hancock.
The Sidewinder fu anche il miglior album di Lee Morgan, non essendo più riuscito dopo a raggiungere quelle vette, avendo però mantenuto comunque una produzione più che buona.
All'album, registrato il 21 dicembre 1963 da Rudy Van Gelder negli omonimi studi di Engelwood Cliffs, parteciparono Joe Henderson al sax tenore, Barry Harris piano, Bob Crenshaw basso e Billy Higgins batteria. Henderson è protagonista di alcuni assoli veramente rimarchevoli all'altezza di quelli di Morgan con un interplay da manuale tra tromba e sassofono. Il piano di Harrs scandisce il ritmo come un metronomo, ascoltate il lavoro che fa in The Sidewinder, perfettamente accompagnato dal duo basso batteria.
La bellezza ed il successo del pezzo d'apertura oscurarono le altre canzoni, in realtà tutte meritevoli e di grande bellezza, in particolare Totem Pole (che avrebbe potuto benissimo essere un altro hit) e la finale Hocus Pocus.
Se posso insistere vi consiglierei di procurarvi un qualche modo l'album (ora i Blue Note i trovano nei negozi e pochi euro) che questo è un disco che piace anche a chi non è appassionato di jazz.
Guardando Meddle dei Pink Floyd

Quando la musica ancora non correva su supporti digitali materiali quali i cd o percettivamente immateriali quali le memory stick, le foto di copertina, le copertine degli album erano parte imprescindibile dei dischi stessi, erano porzioni di musica.
I migliori, i più apprezzati erano gli album che si aprivano a libretto, dentro potevano esserci testi, foto, o entrambi.
Non era probabilmente solo il fascino del supporto vinilico, dischi con grandi copertine che facevano apprezzare maggiormente la musica ma anche, paradossalmente, la penuria di musica reperibile. Se non pagavi non potevi averla (vabbè d'accordo c'erano le musicassette e i registratori, ma non certo la facilità di schiacciare un pulsante e trovarsi intere discografie a disposizione).
Ascoltare la musica era spesso totalizzante, vuoi che si avevano meno album a disposizione e quindi ogni nuovo acquisto veniva ascoltato, riascoltato, quasi consumandone i solchi, vuoi perchè ogni album era una scelta precisa a costruire un percorso, una discografia. Ricordiamoci che, per costruirisi una discoteca degna di questo nome, ci volevano anni se non una vita. Ogni pezzo aveva un suo senso, ricordava un periodo, una sensazione, una motivazione ed era un passo verso il successivo acquisto, verso il successivo delinearsi di un percorso che veniva costruendosi nel tempo e che rifletteva in toto la propria evoluzione e persino oserei dire personalità.
Come simbolo delle copertine di quel periodo, ho scelto una copertina mancata: quella interna di Meddle.
Quei quattro brutti ceffi dei Pink Floyd ancora giovanissimi, già affermati, ma ancora ad un passo di distanza dal successo mondiale. Quanto le ho fissate qulle foto segnaletiche ascoltando Echoes, One of these days, A pillow of winds, etc.
Le immagini erano rare, non vi era inflazione di video, notizie, interviste, show televisivi vi era ancora la possibilità di fantasticare. In realtà la fantasia vi è ancora oggi ma è molto più difficile esercitarla in un mondo che tende ad esibire tutto. Il pericolo dell'abbondanza odierna e della scelta è di farsi sfuggire i Pink Floyd d'oggi, i Rolling Stones o i Beatles e così via.
Difficile scegliere una strada, costruire un percorso personale in mezzo a una miriade di strade già segnate e perfettamente asfaltate, difficile infine apprezzare appieno musica che si può ottenere senza alcun sforzo e a costo zero.
L'abbondanza sembra distrarci, sembra difficile.
Io non rimpiango un tempo in cui la musica era di difficile reperibilità, oppure un tempo in cui la musica bisognava pagarla a caro prezzo, come a dire: se non costa non vale nulla. No il mio discorso è differente. Trovo sconcertante di questo tempo e del suo modo di fruire della musica vedere persone che non capiscono un'acca avere discografie che nemmeno il più incallito dei completisti si è mai sognato di possedere, vedere persone che senza apprezzare quello che ascoltano sono prese da bulimia per cui hanno migliaia di dischi sul disco rigido (scusate il gioco di parole) senza avene mai ascoltato alcuno. Rimpiango anche in parte che qualcuno che si intenda di musica molto, ma molto, più di me faccia una scrematura preventiva dell'infinita produzione odierna: in altre parole oggi anche cani e porci possono pubblicare le loro cazzate, mentre, quando al lavoro vi erano fior di produttori (penso, per dirne uno al mitico produttore di Miles, Teo Macero) certe ciofeche non arrivavano in studio o ne arrivavano molte meno. Oggi quel lavoro di scrematura dalle cazzate me lo deve fare da solo. Bè è una rottura clamorosa e posso pure prendere qualche bel granchio, olte a perdere un sacco di tempo. Tra l'altro, l'atteggiamento del non appassionato, che accede comunque a discografie intere per il semplice gusto di accumulare, in una qualche misura nutre nell'inconscio collettivo l'idea che la musica, per il fatto di essere liberamente accessibile, sia solo un semplice oggetto di consumo senza alcun valore intrinseco. E addio all'arte o a quel che ne è rimasto.
Infine ci sarebbe anche da parlare della funzione dei critici musicali. Oggi vengono snobbati allegramente (anche da me che tendo a far le mie scelte da solo o su consiglio di amici fidati i.e. : che hanno i miei stessi gusti :) ), ma invece avevano e potrebbero ancora avere una loro funzione “specialistica” di aiutare l'amante della musica in un suo percorso di crescita ed evoluzione culturale. Ma magari, su questo specifico aspetto della critica si accenderà un dibattito (me lo auguro), e mi riprometto di tornarci su in modo più specifico e meno superficiale.
I migliori, i più apprezzati erano gli album che si aprivano a libretto, dentro potevano esserci testi, foto, o entrambi.
Non era probabilmente solo il fascino del supporto vinilico, dischi con grandi copertine che facevano apprezzare maggiormente la musica ma anche, paradossalmente, la penuria di musica reperibile. Se non pagavi non potevi averla (vabbè d'accordo c'erano le musicassette e i registratori, ma non certo la facilità di schiacciare un pulsante e trovarsi intere discografie a disposizione).
Ascoltare la musica era spesso totalizzante, vuoi che si avevano meno album a disposizione e quindi ogni nuovo acquisto veniva ascoltato, riascoltato, quasi consumandone i solchi, vuoi perchè ogni album era una scelta precisa a costruire un percorso, una discografia. Ricordiamoci che, per costruirisi una discoteca degna di questo nome, ci volevano anni se non una vita. Ogni pezzo aveva un suo senso, ricordava un periodo, una sensazione, una motivazione ed era un passo verso il successivo acquisto, verso il successivo delinearsi di un percorso che veniva costruendosi nel tempo e che rifletteva in toto la propria evoluzione e persino oserei dire personalità.
Come simbolo delle copertine di quel periodo, ho scelto una copertina mancata: quella interna di Meddle.
Quei quattro brutti ceffi dei Pink Floyd ancora giovanissimi, già affermati, ma ancora ad un passo di distanza dal successo mondiale. Quanto le ho fissate qulle foto segnaletiche ascoltando Echoes, One of these days, A pillow of winds, etc.
Le immagini erano rare, non vi era inflazione di video, notizie, interviste, show televisivi vi era ancora la possibilità di fantasticare. In realtà la fantasia vi è ancora oggi ma è molto più difficile esercitarla in un mondo che tende ad esibire tutto. Il pericolo dell'abbondanza odierna e della scelta è di farsi sfuggire i Pink Floyd d'oggi, i Rolling Stones o i Beatles e così via.
Difficile scegliere una strada, costruire un percorso personale in mezzo a una miriade di strade già segnate e perfettamente asfaltate, difficile infine apprezzare appieno musica che si può ottenere senza alcun sforzo e a costo zero.
L'abbondanza sembra distrarci, sembra difficile.
Io non rimpiango un tempo in cui la musica era di difficile reperibilità, oppure un tempo in cui la musica bisognava pagarla a caro prezzo, come a dire: se non costa non vale nulla. No il mio discorso è differente. Trovo sconcertante di questo tempo e del suo modo di fruire della musica vedere persone che non capiscono un'acca avere discografie che nemmeno il più incallito dei completisti si è mai sognato di possedere, vedere persone che senza apprezzare quello che ascoltano sono prese da bulimia per cui hanno migliaia di dischi sul disco rigido (scusate il gioco di parole) senza avene mai ascoltato alcuno. Rimpiango anche in parte che qualcuno che si intenda di musica molto, ma molto, più di me faccia una scrematura preventiva dell'infinita produzione odierna: in altre parole oggi anche cani e porci possono pubblicare le loro cazzate, mentre, quando al lavoro vi erano fior di produttori (penso, per dirne uno al mitico produttore di Miles, Teo Macero) certe ciofeche non arrivavano in studio o ne arrivavano molte meno. Oggi quel lavoro di scrematura dalle cazzate me lo deve fare da solo. Bè è una rottura clamorosa e posso pure prendere qualche bel granchio, olte a perdere un sacco di tempo. Tra l'altro, l'atteggiamento del non appassionato, che accede comunque a discografie intere per il semplice gusto di accumulare, in una qualche misura nutre nell'inconscio collettivo l'idea che la musica, per il fatto di essere liberamente accessibile, sia solo un semplice oggetto di consumo senza alcun valore intrinseco. E addio all'arte o a quel che ne è rimasto.
Infine ci sarebbe anche da parlare della funzione dei critici musicali. Oggi vengono snobbati allegramente (anche da me che tendo a far le mie scelte da solo o su consiglio di amici fidati i.e. : che hanno i miei stessi gusti :) ), ma invece avevano e potrebbero ancora avere una loro funzione “specialistica” di aiutare l'amante della musica in un suo percorso di crescita ed evoluzione culturale. Ma magari, su questo specifico aspetto della critica si accenderà un dibattito (me lo auguro), e mi riprometto di tornarci su in modo più specifico e meno superficiale.
Sea Song - Robert Wyatt
Robert Wyatt, batterista cantante leader e fondatore dei Soft machine, storico gruppo del jazz-rock-progressive inglese, abbandona la sua innovativa creatura dopo appena 3 album. Pubblica un album solista "The end of an ear" considerato dalla critica un capolavoro del progressive e poi fonda un altro gruppo i "Matching mole" (gioco di parole sulla traduzione in francese di soft machine "molle machine"). Nel 1973 durante un party molto movimentato precipita dal 3° piano di un appartamento, sopravvive, ma riporta una paralisi permanente agli arti inferiori.
Questo incidente lo segnerà nella vita e nel prosieguo della sua carriera di musicista.
Da questo momento lascerà ovviamente la batteria di cui era considerato un maestro, per dedicarsi al canto ed alla composizione. I suoi strumenti d'elezione diventeranno la voce e le tastiere.
Nel 1974 pubblica un album che si intitola "Rock bottom", un manifesto della rinascita, dell'uscita dalla malattia, metaforicamente anche dalla menomazione, un ripensamento e riposizionamento artistico ed esistenziale.
Questo disco rappresenta e richiede anche all'ascoltatore un cambio di prospettiva radicale. Lo esige e lo merita.
Ho cominciato a scrivere volendo parlare di una canzone "Sea song" e mi rendo che è arduo perchè, facendo parte di un concept album ambizioso e difficile, è come prendere una frase di un grande scrittore e decontestualizzarla dal suo contesto.
Sea song è la canzone che apre il disco. E' strana, ha una melodia sghemba, che all'inizio, ai primi ascolti, ricordo che non riuscii a cogliere nella sua profonda bellezza.
Ci vuole umiltà per capirla ed apprezzarla, bisogna un po' abbandonare i propri schemi, rimettersi in discussione. Wyatt usa la metafora del mare, dell'acqua, per raccontare il suo viaggio esistenziale alla ricerca delle radici sue, della musica, e della vita.
Già l'acqua dalla quale nasciamo individualmente nel ventre materno, nasciamo come specie, come vita sulla terra. Questo album, e la canzone che ne prendo a simbolo, è il racconto di tutto questo. L'acqua come luogo dove i movimenti ed i suoni sono diversi da quelli della terra ferma, l'acqua come luogo dove cercare il significato vero, ultimo delle cose superando per sempre la gabbia-dialettica significato-significante.
Morte e resurrezione, capire che l'importante è essere ciò che si è realmente e non ciò che ci è permesso d'essere. Recuperare la propria poliedricità, siamo umani e siamo composti da livelli multipli eppure spesso, se non quando ci troviamo davanti alla menomazione, alla malattia, sembra che ci accontentiamo di vivere come uomini ad una dimensione. Wyatt declina la propria disavventura umana, la sua realtà di invalido, rapportandola alla vita di tutti, la sua uscita dal tunnel diventa traccia per tutti di crescita esistenziale. Parallelamente spoglia la musica dai conformismi, dalle convenzioni dagli abbellimenti che spesso sono solo vuoto formalismo e va a recuperare le coordinate essenziali della melodia, la semplicità dello strumento voce; gli stessi testi vengono progressivamente destrutturati, le parole perdono il loro significante per recuperare il significato primigenio del suono, senza tempo, senza spazio, senza barriere linguistiche.
Questo incidente lo segnerà nella vita e nel prosieguo della sua carriera di musicista.
Da questo momento lascerà ovviamente la batteria di cui era considerato un maestro, per dedicarsi al canto ed alla composizione. I suoi strumenti d'elezione diventeranno la voce e le tastiere.
Nel 1974 pubblica un album che si intitola "Rock bottom", un manifesto della rinascita, dell'uscita dalla malattia, metaforicamente anche dalla menomazione, un ripensamento e riposizionamento artistico ed esistenziale.
Questo disco rappresenta e richiede anche all'ascoltatore un cambio di prospettiva radicale. Lo esige e lo merita.
Ho cominciato a scrivere volendo parlare di una canzone "Sea song" e mi rendo che è arduo perchè, facendo parte di un concept album ambizioso e difficile, è come prendere una frase di un grande scrittore e decontestualizzarla dal suo contesto.
Sea song è la canzone che apre il disco. E' strana, ha una melodia sghemba, che all'inizio, ai primi ascolti, ricordo che non riuscii a cogliere nella sua profonda bellezza.
Ci vuole umiltà per capirla ed apprezzarla, bisogna un po' abbandonare i propri schemi, rimettersi in discussione. Wyatt usa la metafora del mare, dell'acqua, per raccontare il suo viaggio esistenziale alla ricerca delle radici sue, della musica, e della vita.
Già l'acqua dalla quale nasciamo individualmente nel ventre materno, nasciamo come specie, come vita sulla terra. Questo album, e la canzone che ne prendo a simbolo, è il racconto di tutto questo. L'acqua come luogo dove i movimenti ed i suoni sono diversi da quelli della terra ferma, l'acqua come luogo dove cercare il significato vero, ultimo delle cose superando per sempre la gabbia-dialettica significato-significante.
Morte e resurrezione, capire che l'importante è essere ciò che si è realmente e non ciò che ci è permesso d'essere. Recuperare la propria poliedricità, siamo umani e siamo composti da livelli multipli eppure spesso, se non quando ci troviamo davanti alla menomazione, alla malattia, sembra che ci accontentiamo di vivere come uomini ad una dimensione. Wyatt declina la propria disavventura umana, la sua realtà di invalido, rapportandola alla vita di tutti, la sua uscita dal tunnel diventa traccia per tutti di crescita esistenziale. Parallelamente spoglia la musica dai conformismi, dalle convenzioni dagli abbellimenti che spesso sono solo vuoto formalismo e va a recuperare le coordinate essenziali della melodia, la semplicità dello strumento voce; gli stessi testi vengono progressivamente destrutturati, le parole perdono il loro significante per recuperare il significato primigenio del suono, senza tempo, senza spazio, senza barriere linguistiche.
Genesis 1970 - 1975 (Remasters 2008)
Dopo tante incertezze e tanto rimandare mi sono deciso a scrivere una recensione tecnica di un disco.
Già perchè oltre ad essere un musicofilo sono pure un audiofilo.
Sino ad oggi mi aveva trattenuto una forma di pudore dal “divulgare” la composizione del mio impianto stereo. Poi ho pensato, tutto sommato ha i suoi anni, tutti i componenti o quasi sono fuori produzione e poi che le persone pensino pure male.
Oggetto della prova sarà un album del cofanetto in vinile dei Genesis “1970 – 1975” che comprende, da titolo, i cinque album di studio usciti tra il 1970 ed il 1975: Trespass; Nursery Crime; Foxtrot; Selling England By The Pound; The Lamb Lies Down On Broadway.
Si tratta di una ristampa molto curata con vinili da 200 gr. rimasterizzati in “half speed masterng”. Straordinaria anche la qualità delle copertine in un cartoncino particolarmente pesante e stampato con tutti i crismi.
Ho scelto un album solo per la prova e si tratta di Selling England By The Pound.
Farò un ascolto comparato con una normale versione in vinile e con la versione in cd.
L'impianto d'ascolto è così composto: fonte analogica giradischi Project Perspective con controtelaio flottante sospeso su tre molle, testina MM Goldring 1042, pre phono Musical Fidelity XLP; fonte digitale cdp Meridian 506, vecchiotto ma decisamente ancora ben suonante; cavi di segnale Nordost e Monster Cable; amplificazione integrata Krell Kav 300i; cavi di potenza Nordost Flatline in single wiring; diffusori KEF Reference Model Two da pavimento con tweeter UNI – Q.
Già perchè oltre ad essere un musicofilo sono pure un audiofilo.
Sino ad oggi mi aveva trattenuto una forma di pudore dal “divulgare” la composizione del mio impianto stereo. Poi ho pensato, tutto sommato ha i suoi anni, tutti i componenti o quasi sono fuori produzione e poi che le persone pensino pure male.
Oggetto della prova sarà un album del cofanetto in vinile dei Genesis “1970 – 1975” che comprende, da titolo, i cinque album di studio usciti tra il 1970 ed il 1975: Trespass; Nursery Crime; Foxtrot; Selling England By The Pound; The Lamb Lies Down On Broadway.
Si tratta di una ristampa molto curata con vinili da 200 gr. rimasterizzati in “half speed masterng”. Straordinaria anche la qualità delle copertine in un cartoncino particolarmente pesante e stampato con tutti i crismi.
Ho scelto un album solo per la prova e si tratta di Selling England By The Pound.
Farò un ascolto comparato con una normale versione in vinile e con la versione in cd.
L'impianto d'ascolto è così composto: fonte analogica giradischi Project Perspective con controtelaio flottante sospeso su tre molle, testina MM Goldring 1042, pre phono Musical Fidelity XLP; fonte digitale cdp Meridian 506, vecchiotto ma decisamente ancora ben suonante; cavi di segnale Nordost e Monster Cable; amplificazione integrata Krell Kav 300i; cavi di potenza Nordost Flatline in single wiring; diffusori KEF Reference Model Two da pavimento con tweeter UNI – Q.
Vinile contro vinile.
Sin dal primo momento che Peter Gabriel intona quel “Can you tell me where my country lies?”, dalla prima canzone del lato A “Dancing Withe The Moonlit Knight”, ci si rende conto che il confronto non è nemmeno proponibile.
A livello timbrico la voce nella versione “audiophile” ha una profondità che riempe la stanza d'ascolto, calore, spessore, ricchezza timbrica, ricostruzione del frontstage, profondità di campo. Un altro pianeta. Gli strumenti, sulle piccole percussioni, sulle corde delle chitarre, le pelli della qui magnifica batteria di Collins, tutto suona limpido, traparente, dinamico sempre perfettamente a fuoco anche nei pieno strumentali.
Il divario si conferma anche con la seconda canzone “I Know What Like (in your wardrobe)” e diventa abissale con l'intro di pianoforte di “Firth of Fifth”.
Le differenze su tutti parametri sono così nette che non ha senso insistere ulteriormente nella prova.
Passiamo allora al confronto tra analogico - digitale.
Mentre nel caso della prima prova mi aspettavo le differenze poi puntualmente riscontrate non altrettanto nel caso del confronto lp/cd.
Il cd è una buona versione, rimasterizzata in modo intelligente, senza effetti zinzin -zumzum, eppure , eppure ora è divenuta quasi inascoltabile, la terrò solo per questioni affettive e perchè il cd ha dalla sua di essere più comodo per l'ascolto di quanto non lo sia un disco di vinile. Pure il mio amato Meridian suona più che bene e sa tirar fuori dai dischetti argentati la parte “analogica” ed almeno per quel che riguarda ritmo d'esecuzione, dinamiche e musicalità in generale sa difendersi più che bene. Ma qui non è un problema di fonte, o non solo, si tratta proprio della qualità del supporto.
Vale la pena di chiudere la prova con delle considerazioni finali sulla qualità audio di questa ristampa audiophile di Selling England By The Pound. I tecnici inglesi hanno fatto veramente un grande lavoro. Quest'edizione è tecnicamente curatissima e produce miglioramenti audio stupefacenti, rinunciando nel contempo alla facile spettacolarizzazione di un qualche singolo parametro. La ricerca dell'equilibrio e della musicalità è stato l'obiettivo ricercato e brillantemente ottenuto. All'interno di questo equilibrio non è stato trascurato nulla, timbrica, ricostruzione scenica, contrasti e microcontrasti dinamici, alla base di tutto un grande amore per la musica ancor prima che per la tecnica.
Per gli amanti dei Genesis e del bel suono: IRRINUNCIABILE.
Dopo tanto parlar bene dell'album e del cofanetto (ad un primo ascolto anche gli altri album sono eccelsi) bisogna anche menzionare un paio di difetti: il primo e più grave consiste nel non aver incluso anche gli altri due album ufficiali del periodo Gabriel e cioè Genesis From Revelation e soprattutto il bellissimo Genesis Live, l'unico Live ufficiale dei Genesis con Peter Gabriel, e poi il non aver previsto un book annesso al cofanetto che considerato il costo dello stesso era d'obbligo.
Sin dal primo momento che Peter Gabriel intona quel “Can you tell me where my country lies?”, dalla prima canzone del lato A “Dancing Withe The Moonlit Knight”, ci si rende conto che il confronto non è nemmeno proponibile.
A livello timbrico la voce nella versione “audiophile” ha una profondità che riempe la stanza d'ascolto, calore, spessore, ricchezza timbrica, ricostruzione del frontstage, profondità di campo. Un altro pianeta. Gli strumenti, sulle piccole percussioni, sulle corde delle chitarre, le pelli della qui magnifica batteria di Collins, tutto suona limpido, traparente, dinamico sempre perfettamente a fuoco anche nei pieno strumentali.
Il divario si conferma anche con la seconda canzone “I Know What Like (in your wardrobe)” e diventa abissale con l'intro di pianoforte di “Firth of Fifth”.
Le differenze su tutti parametri sono così nette che non ha senso insistere ulteriormente nella prova.
Passiamo allora al confronto tra analogico - digitale.
Mentre nel caso della prima prova mi aspettavo le differenze poi puntualmente riscontrate non altrettanto nel caso del confronto lp/cd.
Il cd è una buona versione, rimasterizzata in modo intelligente, senza effetti zinzin -zumzum, eppure , eppure ora è divenuta quasi inascoltabile, la terrò solo per questioni affettive e perchè il cd ha dalla sua di essere più comodo per l'ascolto di quanto non lo sia un disco di vinile. Pure il mio amato Meridian suona più che bene e sa tirar fuori dai dischetti argentati la parte “analogica” ed almeno per quel che riguarda ritmo d'esecuzione, dinamiche e musicalità in generale sa difendersi più che bene. Ma qui non è un problema di fonte, o non solo, si tratta proprio della qualità del supporto.
Vale la pena di chiudere la prova con delle considerazioni finali sulla qualità audio di questa ristampa audiophile di Selling England By The Pound. I tecnici inglesi hanno fatto veramente un grande lavoro. Quest'edizione è tecnicamente curatissima e produce miglioramenti audio stupefacenti, rinunciando nel contempo alla facile spettacolarizzazione di un qualche singolo parametro. La ricerca dell'equilibrio e della musicalità è stato l'obiettivo ricercato e brillantemente ottenuto. All'interno di questo equilibrio non è stato trascurato nulla, timbrica, ricostruzione scenica, contrasti e microcontrasti dinamici, alla base di tutto un grande amore per la musica ancor prima che per la tecnica.
Per gli amanti dei Genesis e del bel suono: IRRINUNCIABILE.
Dopo tanto parlar bene dell'album e del cofanetto (ad un primo ascolto anche gli altri album sono eccelsi) bisogna anche menzionare un paio di difetti: il primo e più grave consiste nel non aver incluso anche gli altri due album ufficiali del periodo Gabriel e cioè Genesis From Revelation e soprattutto il bellissimo Genesis Live, l'unico Live ufficiale dei Genesis con Peter Gabriel, e poi il non aver previsto un book annesso al cofanetto che considerato il costo dello stesso era d'obbligo.