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The British Everly's


La premiata ditta Mc Cartney-Lennon si vide affibbiare, all'inizio della carriera, il nomignolo di "British Everly's", grazie agli intrecci vocali dei loro primi brani, tipici del gruppo americano degli "Everly Brothers", la cui peculiarità era appunto quella di scrivere canzoni dove la parte armonica vocale era predominante. Sicuramente all'inizio del loro cammino, i Beatles resero omaggio a quel modo di scrivere canzoni, ad esempio "Please, please me" paga un debito nei confronti di "Cathy's Clown" dei fratelli americani, ma la similitudine più marcata e secondo me il vero omaggio alle canzoni degli Everly's, fu quel gioiellino di melodia posto come lato B di "I Want to Hold Your Hand", ovvero "This Boy", che possiamo definire la risposta british a "All I have to do is dream", un brano dove veramente i quattro di Liverpool meritarono l'appellativo di Everly's britannici.
Le due canzoni iniziano tutte e due con un intro, strumentale per i Beatles e vocale, dopo un breve arpeggio di chitarra, per gli Everly's, per poi spiegarsi in due chorus modulati a due voci, dove però se per gli americani si va quasi all'unisono, nel brano dei Beatles sono da rimarcare le modulazioni vocali di Paul alla voce guida di John. Ma il punto che fa pendere la bilancia in favore dei baronetti è nell'inciso. Prima cosa da dire, in "This Boy" a differenza dell'altro brano, l'inciso viene cantato una sola volta, dove Lennon passa dalla nota tonica alla sottodominante, cioè se ne parte dalla prima nota della scala musicale e arriva alla quarta è qualcosa che pur nella sua semplicità spacca in due la canzone e mi fa dire che in questo caso, l'inciso è bello quanto il chorus, e qui è la dimostrazione che il punto di forza del primo Lennon era tutto nella voce. Se infatti l'inciso in "All I Have to do is dream" è lineare come il resto della canzone, in "This Boy" prende il volo e contrasta con il resto del brano. Per finire, tutte e due le canzoni terminano con una coda a sfumare.
L'intuizione dei Beatles fu quella di spezzare la classica formula della canzone perfetta canonizzata dell'epoca, perlomeno di quella anglosassone che era formata da un verse, specialmente nelle canzoni in stile Broadway ma che verrà progressivamente abbandonato nel corso del tempo, da un intro, da due chorus inframezzati da due incisi o bridge cantati e dalla coda. Loro l'inciso, nella seconda parte, lo ripetevano quasi sempre in forma strumentale, o come in questo caso, una sola volta, creando però un bel contrasto tra le due parti, facendo si che ti si stampasse in testa e ti spingesse a riascoltare la canzone per coglierne le sfumature, come dire un caso di sottrazione che valeva come una somma.
Un omaggio sentito e sincero quindi, originale, ben lontano dalle scopiazzature di certi presunti campioni nostrani, vero Zucchero ?
P.s. Un ringraziamento a Franco Fabbri e al suo libro "Il suono in cui viviamo" pieno di spunti e riflessioni che mi hanno aiutato in questo post, chiedendo scusa per eventuali imprecisioni "tecniche".

7 commenti a "The British Everly's"

  1. Ma pensa te! Bello sapere le intuizioni che portarono al successo planetario i Beatles.
    Si, anch'io mi sono messo in lista lettura il libro di Fabbri, spero che non sia troppo difficile da leggere per me che mi considero "limitato" dal punto di vista musical/tecnico.

  2. allelimo dice:

    I libri di Fabbri non sono difficili, anche se alcuni passaggi richiedono un minimo di conoscenze tecniche: non dico elementi di armonia, ma qualcosa su note e scale è meglio sapere - oppure si può cogliere l'occasione per imparare qualcosa di nuovo :)
    Consiglierei di partire proprio da "Il suono intorno a noi" che è il meno complesso e raccoglie anche una serie di articoli apparsi originariamente su giornali e riviste.
    Meno semplici ma non meno interessanti "L'ascolto tabù" e "Around the clock".
    Da leggere anche "Album bianco. Diari musicali 1965-2002", che parla della vita di Fabbri, dai primi gruppi liceali ("complessini") agli Stormy Six, dalla fondazione della IASPM (International Association for the Study of Popular Music) ai corsi di musicologia da lui tenuti alle Università di Milano e Torino.
    Purtroppo come musicista e membro degli Stormy Six invece di pubblicare dischi per le disponibilissime majors ha perso tempo con le etichette indipendenti, arrivando addirittura a fondarne una: L'Orchestra.

  3. @ Allelimo il titolo che suggerivi è " Il suono in cui viviamo " ?

  4. allelimo dice:

    Si, mi son confuso... l'età fa brutti scherzi :)

  5. Grande esordio harmonica! non commento per conclamata incapacità sul pentagramma.

  6. Harmonica dice:

    Consiglio a tutti i libro di Fabbri, "Il suono in cui viviamo", uno dei pregi è che ti apre la mente, e ti porta sul giusto cammino per comprendere la musica che noi amiamo.
    @DiamondDog
    Grazie, ma sono un dilettante del pentagramma anch'io. :o)

  7. allelimo dice:

    Harmonica, è chiaro che sui libri di Fabbri sfondi una porta aperta :)
    Bisognerebbe dedicare un post all'analisi della struttura delle canzoni proposta da Fabbri, la differenza tra il modello Chorus/Bridge e quello Strofa/Ritornello (ne avevo già accennato parlando dei Cowboy Junkies) spiega tantissime cose sulle differenze esistenti tra la musica italiana e quella anglosassone.

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